L’ITALIA AL BIVIO: una Sintesi e qualche profezia

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1. Premessa 2. Cosa è accaduto3. Cosa auspicare 4. Cosa auspicare 5. Cosa succederà oggi al Consiglio Europeo

1.Premessa

I fatti non esistono – Aristotele docet – ne esistono solo le interpretazioni. 

Proviamo a sintetizzare quanto accaduto in questi due mesi di Pandemia, nella consapevolezza che qualsiasi analisi è di per sé una manipolazione. 

Le numerose forze (oscure, ma non solo) comparse in campo appaiono conflittuali, eterodirette se non addirittura randomiche: non è semplice orientarsi in questo oceano di informazioni frammentarie e contraddittorie. 

Ma è necessario giungere ad una lucida sintesi perché questa settimana e le prossime saranno cruciali per le sorti dei nostri prossimi vent’anni. 

E non lo saranno solo per noi: il futuro dell’Italia è il futuro dell’intera Unione Europea.

2. Cosa è accaduto

L’Italia in pochi giorni è divenuta il maggior focolaio mondiale di Covid-19, ha registrato più di 24.600 decessi ufficiali, ha imposto per prima in occidente un lockdown di tutte le attività non ritenute essenziali. Ha subìto, insomma, uno shock economico esogeno senza pari con conseguenziale arresto dell’economia per circa 10 punti di PIL. 

Il principale parametro economico, il rapporto debito/PIL (attualmente al 135%) – con una diminuzione di circa 200 mld al denominatore e, verosimilmente, un pari aumento del numeratore – raggiungerà la quota storica del 160%, esattamente quello di cento anni fa nell’immediato primo dopoguerra e agli albori del Ventennio fascista.

Il cammino europeo volto a trovare rapide soluzioni alla crisi, nel frattempo, è stato piuttosto accidentato. 

La BCE, dopo un primo passo falso della Presidente Lagarde costato caro al nostro Paese, ha annunciato l’immissione di liquidità per 750 mld attraverso il “PEPP”, il programma di acquisto titoli per l’emergenza pandemica. Successivamente ha cancellato il limite autoimposto dell’acquisto per un massimo del 33% dei titoli emessi da ciascuno stato e ha chiesto agli istituti di credito – che per molti anni hanno evitato il default solo grazie al quantitative easing voluto da Draghi – di rinviare cedole e buyback al fine di sostenere l’economia reale.

In sede di Unione si è deciso, per la prima volta nella storia, di attivare la clausola di salvaguardia e sospendere così il c.d. “patto di stabilità”. 

Mentre però in molti Stati, soprattutto quelli del Sud, venivano portate via le bare dall’Esercito, i Paesi del Nord – autodefinitisi “frugali” ma semplicemente vittime, a nostro giudizio, dell’impostazione economica ordoliberista regnante da circa quarant’anni – pur di non perdere la posizione di vantaggio acquisita, auspicavano come unica possibile soluzione alla crisi in Europa il ricorso al MES. 

Uno scolapasta da mettere in testa – giustappunto la nostra – sotto al diluvio.

Ma questo non ci stupisce: l’Unione Europea è un progetto ucronico, nato dall’illusione che un mercato unico prima e l’adozione poi della stessa moneta rendessero irreversibile l’unione fraterna tra Popoli che si erano ferocemente combattuti per secoli. Una “fusione fredda” di Paesi con economie, culture, lingue diverse tra loro.

Chiariamo, dunque: il MES – il cosiddetto Fondo Salva Stati, nelle cui casse l’Italia ha già versato 14 mld a garanzia – è nato nel 2012 per emettere bond con i quali poter finanziare quegli Stati dell’Area Euro affetti da “moral hazard” e i cui titoli di debito, ritenuti troppo rischiosi dai c.d. “Mercati”, rischierebbero di rimanere invenduti. 

Finanziamenti in cambio di sovranità: il complesso di condizionalità previsto nello statuto del MES implica fortissime limitazioni alla politica fiscale del Paese richiedente, come il taglio delle pensioni, degli ammortizzatori sociali, della Sanità.

L’esempio della Grecia è stato eclatante: privatasi con l’adozione dell’Euro della leva monetaria e ritenuta ormai sull’orlo del default dalle agenzie di rating, ha dovuto – ob torto collo – accettare gli “aiuti” europei dalla mano del MES. Ma al danno è seguita la beffa e la nemesi si è compiuta: Il cavallo di Troi(k)a è tornato nelle mura di Atene. La liquidità così ottenuta è stata infatti utilizzata per pagare gli interessi sul debito pregresso – in mano principalmente a banche francesi e tedesche – e non per aiutare il Popolo greco che, al contrario, ha visto ridursi servizi, trasferimenti, pensioni. 

Questo strumento, il MES, non è solo eticamente riprovevole: è assolutamente insufficiente per far fronte alle dimensioni di una crisi planetaria. L’Italia potrebbe accedere ad un massimo di 36 miliardi: tanto valeva tenersi quei quattordici messi a garanzia!

Visto il pressing sul MES, alcuni Paesi del Sud Europa, con l’Italia in testa, hanno cominciato a parlare di Eurobond. Ma occorre chiarezza.

Benché non si sia mai arrivati a definire univocamente gli Eurobond, si conviene, comunque, che essi prevederebbero – in senso “classico” – una mutualizzazione del debito pregresso. Ma di questo, per quanto sopra riportato, i Paesi del Nord non ne vogliono neanche sentir parlare.

Se si escludono i due specchietti per le allodole concepiti nell’ultimo Eurogruppo – il SURE e l’utilizzo della BEI – sul piatto del prossimo cruciale Consiglio Europeo ci sono solamente due alternative: il MES e il cosiddetto “Recovery Fund”.

Mentre del primo sappiamo molto – tanto da ritenerlo, a buona ragione, inaccettabile non potendo esistere una sua versione light – il secondo è allo stato dell’arte soltanto un’ipotesi. Non possiamo, pertanto, che fare delle previsioni: questo nuovo fondo, alimentato dai singoli Stati membri o dal bilancio europeo (attualmente piuttosto esiguo), emetterebbe titoli di debito (i Recovery Bond) con leva finanziaria: la liquidità così ottenuta dal mercato a tassi molto favorevoli sarebbe girata agli Stati più bisognosi oppure investita direttamente dal nuovo Fondo o dalla UE.  

Una sorta di MES ma non focalizzato solo sul problema sanitario, senza condizionalità statutarie e, soprattutto, senza la sorpresa finale del cavallo di Troj(k)a.

Appare evidente però che anche questa soluzione – pur non essendo da escludere a priori – sarebbe debole e niente affatto risolutiva. 

Si rimarrebbe sempre in un’ottica ordoliberista di ricorso al mercato, attraverso uno strumento di emissione di debito.

3. Cosa auspicare

Quale strumento dovrebbe allora essere usato? Se si uscisse da questo paradigma economico e si potesse utilizzare davvero la leva monetaria la risposta sarebbe semplice: la Banca Centrale Europea.

Ma ciò è possibile solo con un accordo politico tra i membri dell’Area Euro che ne modifichi lo Statuto per tramutarla in un prestatore di ultima istanza degli Stati nazionali. La BCE non può avere come unico scopo il raggiungimento di un livello di inflazione “target” ma è necessario che la sua politica monetaria sia messa a servizio dei Governi, almeno in un momento critico come questo: in sintesi, deve acquistare i titoli di debito pubblico dei membri in difficoltà direttamente alle aste, sul mercato primario, per finanziarne massicciamente la ripresa.

Certo, i trattati europei, ad oggi, glielo proibiscono ma questa modifica è l’unica realisticamente capace di evitare il fallimento del progetto europeo già fortemente minato dalla questione Brexit e non solo.

D’altronde sarebbe sufficiente osservare ciò che stanno deliberando le altre (vere) banche centrali dei Paesi più industrializzati come la FED, la Bank of England, la Bank of Japan: una massiccia iniezione di liquidità nell’economia reale.

4. Cosa scegliere

Se dovessimo scegliere tra Italia ed Europa opteremmo per il Mondo. Il problema, a nostro avviso, non è la dimensione territoriale di riferimento che davvero ci identifica ma il grado di democraticità, di rappresentanza espresso dal potere che quel territorio governa. 

Non siamo né europeisti né nazionalisti. Siamo soltanto persuasi che sarebbe necessario modificare il paradigma economico attuale, andando oltre un sistema capitalistico fondato sull’ideologia ordoliberista ed incentrato sul mito dei “Mercati”, intesi come “grande regolatore”, verso una nuova visione socialdemocratica che consenta alla Politica, agli eletti dai Popoli, di utilizzare tutte le leve necessarie per garantire benessere e piena occupazione, anche la leva monetaria. 

In definitiva, o si creano le condizioni per far supportare da una Vera Banca Centrale il progetto UE oppure non resterà altra via, comunque dolorosa ma più logica in termini non solo politici ma anche di costi-benefici a medio termine, e cioè: fare da soli.

Con quest’ultimo scenario si aprirebbero tante strade che non per forza si escludono a vicenda: una moneta fiscale, titoli di stato a lunghissima scadenza senza imposte puntando sulla fiducia popolare italiana,  fino alla drastica decisione di far tornare la Banca d’Italia alle dipendenze del Tesoro e battere una nuova moneta.

5. Cosa succederà oggi al Consiglio Europeo ? (solo domande)

Stallo? Nulla di fatto?

Alcuni Paesi vorranno accedere al MES. 

L’italia porrà un veto?

Accetterà il MEs?

Si faranno i “Recovery bond”?

SI deciderà un ruolo diverso della BCE (unica soluzione risolutiva)?

Cosa succederà nel Parlamento Italiano alla maggioranza di Governo che vede come perno il M5s?

Sarà scissione nel M5s che invece di liquidare il Mes (come da programma elettorale) ne sarà liquidato?

Cadrà il governo?

Oppure vedremo un protagonismo di Forza ITalia a fare – de facto –  da stampella al governo?

Conte sopravviverà politicamente?

Cosa farà Mattarella?

Possibile pensare a governo di “Unità Nazionale” ?

Salterà l’Ue?

Se si, a mano di chi? Spagna, ITalia,  Francia o Germania?

La più quotata sembra essere la Germania. Il 5 maggio 2020, infatti, la Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe è chiamata ad esprimersi sulla conformità del “quantitative easing” della BCE alla Carta fondamentale nazionale. Questa sentenza potrebbe delineare la fine dei giochi europei così come li abbiamo conosciuti fino ad ora.


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